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Taiji&Meditazione

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TECNOLOGIA & SCIENZA  
Ricerca in Usa sul Vipassana, antica disciplina buddista. Bastano 40 minuti al giorno. Sviluppi per la cura dell'Adhd
La meditazione "plasma" il cervello così rinforza l'area dell'attenzione
di LUIGI BIGNAMI

ROMA - Tre mesi di intensa meditazione possono portare la mente di una persona ad acutizzarsi al punto tale da percepire dettagli e fatti della vita di tutti i giorni. Fatti che, normalmente, ci è quasi impossibile cogliere. E' come se si aprissero le porte in un mondo molto più vasto rispetto a quello a cui siamo abituati. Secondo uno studio americano, questa disciplina vecchia di millenni può realmente aiutare a controllare e sviluppare la mente dell'uomo e potrebbe dar modo di curare una problematica della mente - che impedisce un normale comportamento e una regolare concentrazione - nota come Adhd (attention deficit hyperactivity disorder), che colpisce dal 3 al 5% dei bambini.

Spiega Richard Davidson dell'Università del Wisconsin, neuroscienziato che ha seguito la ricerca: "Alcune caratteristiche della mente che si credevano assolutamente immutabili, in realtà possono subire profonde mutazioni con esercizi continui. La gente sa che l'esercizio può aumentare le capacità del proprio corpo, ma ora le nostre ricerche dimostrano, senza ombra di dubbio, che con l'esercizio è possibile aumentare anche la capacità mentale".

Porre attenzione ai fatti richiede tempo e impegno e poiché ciascuno di noi ha una limitata capacità mentale, la gran parte dei dettagli dei fenomeni che avvengono attorno a noi ci sfuggono. Un esempio tra i tanti: se due immagini vengono fatte comparire contemporaneamente su un video, una delle due non viene colta dalla mente. Il fenomeno è chiamato "cecità dell'attenzione". Ma il fatto che occasionalmente si riesca a cogliere anche la seconda immagine suggerisce che ciò possa diventare regola con un giusto esercizio della mente, che si può realizzare con la meditazione indiana.

Davidson si è convinto ad approfondire tutto ciò su diretto incitamento del Dalai Lama, una decina di anni fa. Spiega Davidson: "Anche se da trent'anni praticavo personalmente la meditazione, solo allora avevo capito che era giunto il momento di approfondirla dal punto di vista scientifico. Va detto infatti, che la meditazione è un metodo che facilita la regolazione delle emozioni e dell'attenzione e non si deve pensare che sia sempre qualcosa di trascendentale".

La ricerca ha permesso di scoprire che le persone che in media trascorrono una quarantina di minuti di meditazione al giorno ispessiscono le aree del proprio cervello dedite all'attenzione. "A questo punto penso sia necessario aprire una nuova strada della ricerca sul nostro cervello, che potremmo definire neuroplasticità. Essa si dovrebbe occupare della possibilità che abbiamo di cambiare la forma del cervello con l'esercizio mentale", ha spiegato Davidson.

Il neuropsichiatra ha concentrato la sua ricerca sul Vipassana, che è la più antica disciplina di meditazione buddista, in quanto risale a 2.500 anni fa, e che ha tra i suoi scopi quella di ridurre la distrazione mentale e incrementare le capacità sensoriali. La ricerca attuale si è concentrata su 17 volontari che hanno accettato di immergersi per 10-12 ore al giorno in meditazione, per tre mesi di fila. A questi si è aggiunta un'ulteriore ricerca su 23 volontari che hanno ricevuto una lezione di meditazione che poi hanno eseguito per 20 minuti al giorno per una settimana. Ai volontari è poi stato sottoposto un gran numero di immagini su un video che comparivano come flash. Durante ciò una serie di elettrodi seguiva l'attività del cervello.

Tutto ciò ha portato a scoprire che i volontari che si erano sottoposti alla meditazione intensiva erano in grado di cogliere un gran numero di informazioni in tempi brevissimi, mentre la seconda categoria vi riuscivano solo parzialmente e prove eseguite prima di sottoporsi alla meditazione mostrano una quasi totale incapacità nel cogliere le immagini proposte. La ricerca è stata pubblicata su PLoS Biology.

Clifford Saron del Centro per lo Studio della Mente e del Cervello dell'Università della California (Usa) ha spiegato: "La nostra vita è una serie di momenti successivi di "cecità dell'attenzione", in quanto sono più le cose che ci sfuggono di quelle che sappiamo cogliere. Se quanto ha dimostrato Davidson risulterà vero, un esercizio appropriato della nostra mente può aprirci un mondo diverso".

Ma come utilizzare questa scoperta per i bambini afflitti da Adhd? "Certamente non possiamo ipotizzare di sottoporli a meditazione intensiva, ma se riuscissimo a capire come essa agisce sul cervello, si potrebbe tentare di giungere a medesimi risultati per via medica". Nei prossimi cinque anni Davidson spera di arrivare a risultati concreti utili ad adulti e bambini.

(8 maggio 2007)
pubblicato on-line da la Repubblica.it: http://www.repubblica.it/2007/02/sezioni/scienza_e_tecnologia/cervello2/meditazione/meditazione.html


Mental Training Affects Distribution of Limited Brain Resources

Heleen A. Slagter1, Antoine Lutz1, Lawrence L. Greischar1, Andrew D. Francis1, Sander Nieuwenhuis2, James M. Davis1, Richard J. Davidson1*
1 Waisman Laboratory for Brain Imaging and Behavior and Department of Psychology, University of Wisconsin, Madison, Wisconsin, United States of America, 2 Department of Psychology, Leiden University, Leiden, The Netherlands

The information processing capacity of the human mind is limited, as is evidenced by the so-called ''attentional-blink'' deficit: When two targets (T1 and T2) embedded in a rapid stream of events are presented in close temporal proximity, the second target is often not seen. This deficit is believed to result from competition between the two targets for limited attentional resources. Here we show, using performance in an attentional-blink task and scalp-recorded brain potentials, that meditation, or mental training, affects the distribution of limited brain resources. Three months of intensive mental training resulted in a smaller attentional blink and reduced brain-resource allocation to the first target, as reflected by a smaller T1-elicited P3b, a brain-potential index of resource allocation. Furthermore, those individuals that showed the largest decrease in brain-resource allocation to T1 generally showed the greatest reduction in attentional-blink size. These observations provide novel support for the view that the ability to accurately identify T2 depends upon the efficient deployment of resources to T1. The results also demonstrate that mental training can result in increased control over the distribution of limited brain resources. Our study supports the idea that plasticity in brain and mental function exists throughout life and illustrates the usefulness of systematic mental training in the study of the human mind.

Citation: Slagter HA, Lutz A, Greischar LL, Francis AD, Nieuwenhuis S, et al. (2007) Mental training affects distribution of limited brain resources. PLoS Biol 5(6): e138. doi:10.1371/journal.pbio.0050138



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